Eugenio Montale
Eugenio
Montale (1896-1981), poeta di Genova.
La
crisi dell'uomo e delle società europee, e la perdita dei valori sono l'oggetto
predominante della sua poesia,
ne
sono testimonianza: "Ossi di seppia", "Le occasioni",
"La bufera e altro", e "Satura".
Montale
ha anche raccolto alcune sue prose in "Farfalle di Dinard" e scritti
di critica letteraria in "Auto da fè"
e
in "La poesia non esiste". L'opera "Fuori di casa" comprende
invece scritti di viaggio.
Senatore
a vita dal '67, nel '62 gli fu conferito il premio Feltrinelli internazionale
per le lettere,
e
nel '75 ricevette il premio Nobel per la letteratura.
Da
"Ossi di seppia" :
*
Non
chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo
nostro informe, e a lettere di fuoco
lo
dichiari e risplenda come un croco
perduto
in mezzo a un polveroso prato.
Ah
l'uomo che se ne va sicuro,
agli
altri ed a se stesso amico,
e
l'ombra sua non cura che la canicola
stampa
sopra uno scalcinato muro!
Non
domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì
qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto
solo oggi possiamo dirti,
ciò
che non siamo, ciò che non vogliamo.
*
Meriggiare
pallido e assorto
preso
un rovente muro d'orto,
ascoltare
tra i pruni e gli sterpi
schiocchi
di merli, frusci di sterpi.
Nelle
crepe del suolo o su la veccia
spiar
le file di rosse formiche
ch'ora
si rompono ed ora s'intrecciano
a
sommo di minuscole biche.
Osservare
tra frondi il palpitare
lontano
di scaglie di mare
mentre
si levano tremuli scricchi
di
cicale dai calvi picchi.
E
andando nel sole che abbaglia
sentire
con triste meraviglia
com'è
tutta la vita e il suo travaglio
in
questo seguitare una muraglia
che
ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
*
Portami
il girasole ch'io lo trapianti
nel
mio terreno bruciato dal salino,
e
mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del
cielo l'ansietà del suo volto giallino.
Tendono
alla chiarità le cose oscure,
si
esauriscono i corpi in un fluire
di
tinte: queste in musiche. Svanire
è
dunque la ventura delle venture.
Portami
tu la pianta cha conduce
dove
sorgono bionde trasparenze
e
vapora la vita quale essenza;
portami
il girasole impazzito di luce.
*
Spesso
il male bi vivere ho incontrato:
era
il rivo strozzato che gorgoglia,
era
l'incartocciarsi della foglia
riarsa,
era il cavallo stramazzato.
Bene
non seppi, fuori del prodigio
che
schiude la divina Indifferenza:
era
la statua nella sonnolenza
del
meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
*
Portovenere
Là
fuoresce il Tritone
dai
flutti che lambiscono
le
soglie d'un cristiano
tempio,
ed ogni ora prossima
è
antica. Ogni dubbiezza
si
conduce per mano
come
una fanciulletta amica.
Là
non è chi si guardi
o
stia di sé in ascolto.
Quivi
sei alle origini
e
decidere è stolto:
ripartirai
più tardi
per
assumere un volto.
*
Felicità
raggiunta, si cammina
per
te sul fil di lama.
Agli
occhi sei barlume che vacilla,
al
piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e
dunque non ti tocchi chi più t'ama.
Se
giungi sulle anime invase
di
tristezza e le schiari, il tuo mattino
è
dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma
nulla paga il pianto del bambino
a
cui fugge il pallone tra le case.
*
Forse
un mattino andando in un'aria di vetro,
arida,
rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il
nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di
me, con un terrore di ubriaco.
Poi
come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi
case colli per l'inganno consueto.
Ma
sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto
tra
gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
*
Sul
muro grafito
che
adombra i sedili rari
l'arco
del cielo appare
finito.
Chi
si ricorda più del fuoco ch'arse
impetuoso
nelle
vene del mondo; - in un riposo
freddo
le forme, opache, sono sparse.
Rivedrò
domani le banchine
e
la muraglia e l'usata strada.
Nel
futuro che s'apre le mattine
sono
ancorate come barche in rada.
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