Cesare Pavese
(1908-1950)
Romanziere
e poeta di S. Stefano Belbo (CN).
Di
origine contadina, studiò a Torino, portandosi dietro la nostalgia delle sue
colline in contrasto con la città
fatta
di cemento, rumore, solitudine e velleità. Strinse amicizia con antifascisti,
subì il confino
e
iniziò l'opera di traduttore dall'inglese (Melville, Faulkner, Steinbeck),
traendone il modello
per
una vita spregiudicata, una sintassi rotta, un vigoroso realismo.
Collaboratore
dell'editore Einaudi, diresse una collana di mitologia religioni psicologia
dell'inconscio:
una
manifestazione della sua concezione della letteratura come penetrazione della
"mitologia
personale" di ciascuno. Morì suicida, non riuscendo a superare la
lacerazione
della
propria solitudine. Tra la poesia si ricorda: Lavorare stanca (1936).
Tra
la prosa: Paesi tuoi, Fiera d'agosto, La bella estate, La luna, e I
falò.
da
LA TERRA E LA MORTE:
*
Terra
rossa terra nera,
tu
vieni dal mare,
dal
verde riarso,
dove
sono parole
antiche
e fatica sanguigna
e
gerani tra i sassi-
non
sai quanto porti
di
mare parole e fatica,
tu
ricca come un ricordo,
come
la brulla campagna,
tu
dura e dolcissima
parola,
antica per sangue
raccolto
negli occhi;
giovane,
come un frutto
che
è ricordo e stagione-
il
tuo fiato riposa
sotto
il cielo d'agosto,
le
olive del tuo sguardo
addolciscono
il mare,
e
tu vivi rivivi
senza
stupire, certa
come
la terra, buia
come
la terra, frantoio
di
stagioni e di sogni
che
alla luna si scopre
antichissimo,
come
le
mani di tua madre,
la
conca del braciere.
*
Tu
sei come una terra
che
nessuno ha mai detto.
Tu
non attendi nulla
se
non la parola
che
sgorgherà dal fondo
come
un frutto tra i rami.
C'è
un vento che ti giunge.
Cose
secche e rimorte
t'ingombrano
e vanno nel vento.
Membra
e parole antiche.
Tu
tremi nell'estate.
da VERRA' LA MORTE E AVRA' I TUOI OCCHI
(11 marzo-11 aprile '50)
*
Hai un sangue, un respiro.
Sei fatta di carne
di capelli di sguardi
anche tu. Terra e piante,
cielo di marzo, luce,
vibrano e ti somigliano-
il tuo riso e il tuo passo
come acque che sussultano-
la tua ruga fra gli occhi
come nubi raccolte-
il tuo tenero corpo
una zolla nel sole.
Hai un sangue, un respiro.
Vivi su questa terra.
Ne conosci i sapori
le stagioni i risvegli,
hai giocato nel sole,
hai parlato con noi.
Acqua chiara, virgulto
primaverile, terra,
germogliante silenzio,
tu hai giocato bambina
sotto un cielo diverso,
ne hai negli occhi il silenzio,
una nube, che sgorga
come polla dal fondo.
Ora ridi e sussulti
sopra questo silenzio.
Dolce frutto che vivi
sotto il cielo chiaro,
che respiri e vivi
questa nostra stagione,
nel tuo chiuso silenzio
è la tua forza. Come
erba viva nell'aria
rabbrividisci e ridi,
ma tu, tu sei terra.
Sei radice feroce.
Sei la terra che aspetta.
21 marzo 1950
*
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ti accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
22 marzo 1950
*
THE NIGHT YOU SLEPT
Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange
muta, dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia-
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e ti implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.
La notte soffre e anela l'alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c'è chi come te attende l'alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l'alba.
4 aprile 1950
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