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Occhi

 

E' vero. Fin dalla più confusa memoria di me sono sempre stato un individuo d' immaginazione particolarmente vivace. 
Io stesso sono rimasto a volte stupito per il sorprendente estro che mi viveva, creatore di fantasmi e illusioni. 
Stupefacente inventiva elaborava per me scenari immaginari alla semplice vista di visioni che stimolavano l' oculato mio osservare. 
Sia chiaro che tramite la mia facoltà non smentivo né tentavo le opinioni comuni sullo stato delle cose.
Devo confessare, però, che diversi sono stati i momenti in cui ho temuto di non riuscire più dal dove che proprio in quel tempo avevo finto intorno a me. 
Che fosse un mondo in cui essere sconosciuto o solo straniero poco importava. Era comunque un sogno ed io non amo vivere di sogni.
Ipotesi dunque lecita sarebbe stata che la mia natura avesse deciso infine di favorire quest' attitudine, a volte dèmone ribelle, cercando di governarla però reclusa fra le alte mura che cingono d' intorno luoghi di fede e superstizione e di quanto è, secondo diffusa opinione, stimato reale. 
Con saggio proposito una poco chiara ma misurata premura aveva impedito che follia, probabilmente prossima a manifestarsi in me, m' imprigionasse. 
Inesorabile avrebbe vegliato le mie notti insonni e allucinate.

Questa è stata, in principio, l' erronea spiegazione data alla singolare, rarissima alterazione, forse unica nel suo genere, che ha interessato il consueto esercizio delle mie facoltà di percezione visiva. Una nuova sensibilità che sfiorava i miei occhi. 
Ho consultato eminenti professori di oculistica , neurottica e cromocinetica, senza però ricevere da alcuno di questi una fiducia seppure sottile, eccitata magari da una fugace reciproca 
simpatia del momento. 
Nemmeno una superstiziosa speranza che potesse informarmi, se non del rimedio, della causa per la quale la realtà che sperimentavo simile a se stessa, secondo le percezioni degli altri miei sensi, appariva ai miei occhi come appariva.
Mi accorsi dei primi sintomi di quello che allora credevo fosse un male, quando, seduto una tiepida mattina d' ottobre su una panchina dei giardini, ovunque dirigessi il mio sguardo vedevo tutto - oggetti, persone, alberi, siepi, tutto -, tutto di uno stesso colore che mutava continuamente : blu, giallo, rosa, … Le immagini che percepivo erano per un istante in diverse gradazione di blu, poi di giallo courbet, e ancora di rosa antico. Come una pellicola in bianco e nero, i cui grigi sono blu, gialli, rosa, … 
Quella mattina, seduto su una panchina dei giardini, vedevo il viale di ghiaia blu scuro, le siepi violacee intorno alla quercia azzurra. Poi il ragazzino sulla bici giallo paglia che indossava un giubbotto ocra, ma i suoi capelli erano fucsia e il suo viso rosa shocking. 
I contorni delle superfici a me intorno quasi si confondevano. Come se veli leggeri, ora di un colore, subito dopo di un altro, calassero dinanzi al mio sguardo. 
Minuziose analisi cliniche testimoniavano l' assoluta efficienza di ogni singola parte dei miei occhi, dal cristallino alla macula lutea. 
Dottori hanno allora cercato di individuare in me sicuri traumi di natura metafisica e psichica che senza alcun dubbio avevo dovuto patire.
Secondo il parere di una più che stimata equipe di corneosofi e scleriatri, assistiti da due o tre psicofisiopatologi, questa era la spiegazione più razionale possibile per individuare l' origine 
delle misteriose e invisibili deficienze che, secondo tali chiarissimi professori, m' impedivano di vedere come ricordavo di vedere. Prima che uno strano male, ciò che anche io allora temevo fosse uno sconosciuto male, prima che, insomma, i miei occhi avessero acquistato una diversa sensibilità. 
In un primo tempo, poiché i disturbi della mia vista erano di ordine cromatico, il professor Karl e il dottor Kurl ne avevano individuato la causa per infiltrazioni di umori non trasparenti tra l'iride e la congiuntiva. Umori secreti da fino allora sconosciute ghiandole lacrimali di cui solo io, unico esemplare d' uomo, solo io potevo annoverare fra i miei requisiti fisici. Almeno fino a quel momento. 
Era un caso, e non era un caso, che non trovava naturalmente alcuna testimonianza in tutta la letteratura medica. 
In ogni caso, era successo che nei primi giorni della singolare anomalia guardassi intorno a me riconoscendo forme e profondità, mutevoli nei colori per la mia alterata percezione. 
Spesso ho pensato che da un momento all' altro avrei visto in negativo una scena in bianco e nero, se il velo calato dinanzi a me per un istante fosse stato di questo colore. Ma è successo solo di notte, quando il buio sommerge ogni cosa. D' altronde, anche i miei dotti referenti mi avevano rassicurato a riguardo. 
Non mi rassicurarono affatto, però, anzi alimentarono il mio disagio, vennero meno proprio nel momento dell' estremo, forse 
ultimo bisogno, quando i disturbi si rivelarono in diversa e ben più grave manifestazione. 
Ma ciò che un tempo era per me motivo di profondo sconforto è ora la conferma che metamorfosi si preannunciavano. Incontestabili mutamenti.

Particolare forse degno di riguardo potrebbe essere la memoria dei sogni di quelle notti, vissute in dormiveglia appena simili a sonno. Ricordavo che i sogni di quelle notti avevano i colori della mia memoria. 
L' immagine di un qualunque oggetto o figura di quei sogni, del ricordo di quei sogni, si fissava a lungo ferma nel ricordo che avevo di quella immagine.
Una sedia a dondolo di legno era colore del ciliegio. Il nonno del mio vicino indossava un cappotto rosso e aveva una lunga barba bianca. Il cielo all' orizzonte che tramontava era bluastro. 

Un mattino ho aperto gli occhi dopo un sonno abissale. 
Alcuna memoria di sogno riaffiorò con me. 
Il soffitto della mia casa era ricoperto d' ombra.
Aperta la finestra i monti apparvero verdi ai miei occhi e il cielo grigio per le fitte nubi. 
L' asfalto della strada era colore della pece e il ragazzo che portava il pane aveva un berretto verde con la visiera blu. 
Incredulo spalancai la finestra e sorrisi.
Sorrisi al ragazzo che, forse, per un attimo mi aveva visto sorridere e arrossiva nascosto dalla visiera del berretto. 
Sensibile alla sua timidezza mi ritrassi in fretta a guardare la camera dove avevo dormito l' ultimo sonno senza sogni. 
Mi divertivo, in quei primi momenti, a osservare con estrema concentrazione gli oggetti sparsi sul tavolo, cogliendo fra essi le nette differenze di colore.
Osservavo l' angolo di un foglietto azzurro imprigionato tra la cartellina rossa e una rivista dalla copertina gialla e blu con titoli bianchi e verde cupo. Un pacchetto di Roùland con il sole metà blumun e metà zurlo, la scritta Rowland in oro. Il tagliacarte col manico d' avorio. La Maschera Gewendy,dal lungo mento, le grandi orecchie e cerchi concentrici gialloneri intorno alle orbite cave. 
E' stato lo specchio a distrarmi. Per riguardarmi, quasi nascosto dalla porta aperta. Per potermi vedere col viso stupido di contentezza. 
Per rivedermi mi sono osservato allo specchio.
Ma, sorpresa. Straordinaria sorpresa, vedermi. 
Credo di aver volato attraverso le porte, tante quante sono le porte da attraversare per poter uscire di casa. Ho volato, leggero come uno sguardo e veloce. 
In un batter di ciglia (mai locuzione fu più appropriata), sfioravo sfuggenti figure che la fretta guidava, donne con la sporta, scolari ancora assonnati, due vigili e un imbianchino che stava dipingendo l' insegna del Bar del Corso. 
Passavo inosservato. 
Ecco, pensai, le metamorfosi sono ormai chiare. 
Passavo inosservato fra i passanti, sebbene allora non fossi certo che esistessero sicuri legami tra l' iniziale alterazione della mia sensibilità visiva e la nuova forma in cui ora mi riconoscevo.
In principio peccavo di assurda ignoranza. 
Ora che le mie conoscenze sono state documentate grazie allo studio e alla ricerca, è chiaro che la mia condizione è stata necessario inizio di progressive degenerazioni di specie che si manifestavano in due differenti modi. Io ero l' evidente conferma di uno dei due. 

Passavo inosservato tra i passanti. Due erano le ragioni. 
Motivo uno: i passanti che sfioravo passando inosservato, ho osservato bene le loro facce, non potevano vedermi perché quelle facce, tutte quelle che vedevo, erano facce cieche. Erano senza occhi. Già. Proprio senza occhi. Né palpebre, né ciglia, niente.
Motivo due: perché, come le spiegherò, dottore, ero giunto alla maturazione, di cui non intuii subito le tappe della misurata involuzione, che aveva disegnato la mia forma.

Ora, il motivo per cui mi trovo qui, secondo lei, caro dottor Cosìcosà, seguace di Giung o Froid, fatti suoi, secondo lei quel motivo è chiaro. 
Lei afferma che io sono affetto da visiolabilità di tipo allucino-schizoide. In altre parole lei vuol dire che sono un po' tòcco, suonato, sdèng, psicotroppo instabile, fuso di testa. Bene. 
Io le dico invece che in me, nella " mia persona " 
- come lei vorrebbe che io pensassi - , non alberga nessun folle. Impossibile che vi alberghi, in quanto, lei si convincerà, 
è evidente che io non sono una persona. E' fin troppo evidente. Com' è altrettanto evidente che lei non può vedermi, ora che è qui, seduto di fronte a me, con la sua faccia da manichino cieco. Già , lei ha proprio la faccia come quei fantocci di
plastica nelle vetrine dei negozi. 
Dottore, sarà d'accordo con me quando le spiegherò perché per strada, sugli autobus, al cinema, ovunque a qualsiasi ora, incontro facce, visi, volti, senza occhi. Come il suo, dottore. 
Stia sicuro, come è vero che lei non può vedere, che le dirò anche perché sono come lei non può vedere. 
Le spiegherò che veramente sono come lei non può vedere, grazie a prove scientifiche guidate da formule assolute e sperimentazioni ormai assunte a verità, che la persuaderanno delle mie argomentazioni. 
Cercherò di essere breve ma dovrò comunque trattare alcuni capitoli per ogni tomo della Scienza e Conoscenza della Orbes, in trecentocinquantasette volumi, perché è indispensabile che lei approfondisca fondamentali nozioni di genetica e psicosomatica. 
E' possibile che le mie spiegazioni la informeranno di sorprendenti e per lei nuove scoperte nell' ambito dell' Eziologia e dell' Anamnestica. Ma ogni mia affermazione le sembrerà verosimile, perché ragionevole sarà l' esito delle mie disquisizioni. La prego di interrompermi solo se le mie parole non saranno sufficientemente chiare e persuasive. Le proverò che quanto mi propongo di dirle non è frutto delle mie fantasie. 
Le consiglio di parlare solo se avrà un minimo dubbio riguardo la coerenza delle mie inferenze. 
Dovrà dedicarmi la sua completa attenzione.
Ma quando saremo sicuri di poter affrontare con adeguati strumenti di sapere le ragioni del divenire, finalmente lei potrà capire, caro dottore, perché di me io sono solo occhi.

Pietro Moretti

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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